La mostra

“Lui mi raccontava gli episodi in un modo speciale, me lo ricordo bene, li riviveva intensamente come stesse per rifarli.
Lo vedevi da come il volto si illuminava mentre parlava di trote, trotoni pronunciava per me, che avevo cinque anni, o pessatoni grandi come te, mi diceva, alti un metro.”

Devo aver preso per forza da lui la passione vissuta e rivissuta nei suoi racconti.

Allora pescare trote dal fiume era parte di quella economia rurale che assieme al lavoro nei campi sosteneva le famiglie dei paesi. La pesca era esercitata e sentita con la stessa soddisfazione di aver fatto un buon raccolto o di aver allevato bene le bestie della casa.

Non si perdeva l’occasione nei periodi “importanti” dell’anno di uscire sul fiume per catturare le trote.

Mio padre e i miei zii lo sapevano bene, leggevano attentamente il tempo e le sue cambianze; allora non c’erano previsioni atmosferiche, tutto era intuito a naso, dagli odori nell’aria, dai segnali che gli animali e la natura circostante mandavano. …”

Questo è l’incipit di una bozza del racconto di Nino che ho avuto il piacere di leggere e con questo spirito l’Associazione Pescatori Basso Sarca, con la collaborazione del Comune di Dro, ha organizzato una mostra dal titolo “Gh’era na volta la Sarca”.

Una mostra di attrezzi, documenti, immagini e filmati storici sulla pesca “nella Sarca”.

Dal sette al sedici febbraio 2003 nella sala espositiva in piazza della Repubblica a Dro si è concretizzata questa idea.

Nino riceve da Remo, un paio di anni fa (2000), documenti, verbali e alcune fotografie ingiallite della allora Sezione pescatori del Sarca Arco (era il ’39 con 32 soci) poi divenuta Unione Pescatori Basso Sarca.nel ’59, quindi Società Pescatori Basso Sarca e Valle dei Laghi (’74) e infine l’attuale Associazione Pescatori Basso Sarca (dall’83 ad oggi con circa 900 soci). Le prende, le mette nel cassetto così come le ha ricevute, ma ogni tanto le guarda e ricorda i racconti di suo padre e dei suoi zii.

Remo è un vivace commerciante di Arco, con più di settant’anni, che tra le altre cose è stato con passione il presidente dei pescatori del Basso Sarca negli anni quaranta-cinquanta quando “la Sarca” era un fiume, i pesci erano pesci e . . Quei documenti e quelle foto ingiallite con tutti quei ricordi le ha volute consegnare a Nino che così è stato “costretto” naturalmente ad organizzare questa mostra.

Le riunioni annuali delle associazioni pescatori sono (non scrivo cose nuove) momenti di grandi discussioni appassionate, dove forse la leggerezza sofisticata del  “bon ton” è sostituita da ruspanti analisi urlate che alla fine non fanno cambiare le proprie convinzioni; generalmente ognuno resta sulla sua, anzi quasi sempre la propria idea esce rafforzata dallo scontro verbale. Quelle occasioni non sono certo il momento ideale per fare gruppo, per ragionare su come gestire meglio le acque.

Cosa centra la mostra con questo?

Più di cinquecento persone hanno firmato il registro delle presenze, molti dei visitatori non lo hanno fatto, molti sono venuti assieme, molti si sono incontrati davanti ad un attrezzo esposto, ad una fotografia e si sono raccontati i loro episodi, hanno ascoltato e hanno ragionato su come era e su come è, e hanno sognato qualche metro cubo d’acqua in più (visto che il 20003 è anche l’anno dell’acqua). Molti politici sono passati e tutti hanno preso coscienza di come era la Sarca (al femminile, perché Madre della gente che ci vive attorno secondo il pensiero di molti). Questa mostra è stata un’ottima occasione per ragionare sul futuro ricordando il passato, dal quale si può imparare molto (mutatis  mutandis), soprattutto nella gestione dell’ambiente.

Questa mostra ha voluto ricordare per andare avanti, con proposte realizzabili e soprattutto condivise.
Prime canne di bambù.

Venivano tagliate nel parco dell’ospedale vecchio di Arco, in particolari giorni dell’anno per evitare la “ravazzatura” (spaccatura longitudinale) durante l’essicazione.

Sfrossena (fioccina) fine ’800

Organizzare una mostra che non deluda partendo da qualche documento è una scommessa ma con la passione e molto tempo a disposizione si può degnamente concretizzare. Molti hanno prestato le loro attrezzature, alcuni nel ricordo del padre o del nonno scomparso hanno preso le foto custodite nel portafoglio o incorniciate con cura pregando “.trattatele bene”.

Gli attrezzi esposti non dicono nulla al visitatore distratto o solamente esteta.

La “turla”, el “lof,” el “redascan” (o cunela) per la cattura dei “cavedoni” (scazzoni), mulinelli come il major asso, o la serie dei “Nettuno”, artificali particolari come il devon, sono alcuni dei molti oggetti esposti. Tutti hanno una loro storia importante.

La TURLA ha molto da raccontare .. prende anima se la metti vicina a Franco. Un’ora non è bastata per sentire la sua storia, ma si sa, senza quella storia sarebbe solo un palo con una rete in cima.

Il “LOF” inerte, appeso alla parete odora ancora di trote, sembra muto ma se Bruno o Alvise lo vede, lo tocca, lo annusa diventa una vecchia suocera con mille racconti, mille episodi.

Facciamo parlare un ultimo personaggio: el “RAMPIM” (raffio)

Quel RAMPIM attaccato alla canna del LOF,  con la punta ancora affilata anche se arrugginita. Sul manico consumato dall’uso ci sono ancora delle squame; la targhetta riporta il nome del suo padrone: Fabio. Lo faccio parlare: “No, non sono del Fabio ma di suo padre Massimo e servivo già dal 1910 per trascinare a riva quelle “trote de lac” grandi come i “puteloti” .

Questa mostra è stata fatta anche perché trasmettesse queste emozioni anche ad altri perché facesse ricordare anche la semplicità nonché la durezza della vita di allora e la ricordasse anche ai giovani perché sappiano che la ricchezza di oggi e stata costruita con molta fatica e con molta tenacia.

Visitatori giovani molto interessati agli scazzoni e ai gamberi di fiume e trote.

“Pioveva a dirotto da una settimana, i pescatori erano in attesa della piena che sicuramente sarebbe arrivata. Lui e gli zii, con i cugini più grandi tenevano d’occhio il fiumee preparavano gli attrezzi da pesca.Mia madre e le zie rattoppavano le reti delle turle.

L’acqua incominciò a salire. Da una velatura di sporco che aveva già da qualche giorno, passò ad un color caffelatte sempre più scuro.. Partirono subito per raggiungere i posti migliori. .Lui e mio cugino nella parte sotto il ponte, .mio zio e un altro cugino al muro dei fichi. Le turle erano già pronte, nascoste nei campi vicino al fiume, una per coppia .. pescarono per tutto il pomeriggio e per altri due giorni di fila ..”. Sembra una favola ma altro non è che una pagina di vita degli anni cinquanta di un giovane di Dro.

testo e foto di Sergio Fattorelli.